lunedì 15 giugno 2009

IVG 6 GIORNI SU 7 AL MAGGIORE DI BOLOGNA

"Ciao Laura, ho visto il tuo gruppo qui su FB sono una donna di 35 anni che ha dovuto affrontare un aborto terapeutico alla 19ma settimana di gravidanza. E' successo venerdì scorso...
Volevo solo darti la mia testimonianza positiva sul reparto di ginecologia della maternità dell'ospedale Maggiore di Bologna.
Stanza singola, mio marito sempre con me, medico molto comprensivo (ha avuto anche parole di solidarità che non mi aspettavo) personale che passava ogni ora ora e mezzo a vedere come stavo, ostetrica disponibillissima. Aiuto nel momento dell'espulsione, immediata rimozione del feto e raschiamento poco dopo. Ho aspettato un po' all'ingresso della sala operatoria e il personale veniva a vedere come stavo ogni 15 minuti. A mio marito è stato concesso di rimanere mentre aspettavo anche se ero già in una zona dove non sarebbe potuto entrare.
Questa è la mia esperienza, terribile comunque ma almeno "umana".
Magari può aiutare altre donne che devono decidere dove fare l'IVG.
Io non mi sento di fare outing ora, di partecipare a gruppi... per me è troppo presto. Come immaginerai non è un gran periodo e faccio un po' fatica a stare dietro a tutto. Provo a rispondere alle tue domande.
Allora: io non ho prenotato personalmente nulla per l'IVG ha pensato a tutto il mio ginecologo che è un medico ospedaliero e lavora appunto alla maternità dell'ospedale Maggiore di Bologna.
Il giovedì mattina alle 8.30 ho fatto il colloquio ho espresso la mia decisione dio interrompere la gravidanza e verso le 13.30 mi hanno chiamato per comunicarmi di presentarmi la mattina dopo per il ricovero.
All'interno della maternità ci sono due reparti ostetricia e ginecologia.
Io sono stata ricoverata in ginecologia (stanza singola che viene utilizzata solitamente per gli aborti terapeutici per lasciare un po' di privacy alle donne in un momento tanto delicato).
Non conosco gli orari ma posso dirti che sono stata ricoverata alle 8 del mattino tramite pronto soccorso (ma mi aspettavano e avevano già la mia cartella)
Mi hanno fatto gli esami mi hanno inserito le prime candelette alle 11.30, l'espulsione è avvenuta alle 21.15 e il raschiamento è terminato che erano circa le 23. In tutto questo tempo sono stata assistita dal personale. Dopo il raschiamento mi hanno portato le pillole per evitare la montata lattea e successivamente camomilla e biscotti. Quindi, su mia richiesta, mi hanno aiutato ad andare in bagno (le stanze della maternità hanno tuttte il bagno in camera).
Sono stata qssistita sin dopo mezzanotte.
Poi mi sono addormentata (per fortuna) e non ho più avuto bisogno. L'infermiera è tornata dopo le 6.
Ritengo quindi che ci sia assistenza 24 ore su 24.
Per quanto riguarda le giornate io sono stata dimessa, dopo l'opportuna visita di controllo il sabato mattina.
Inizialmente mi avevano prospettato il ricovero proprio di sabato, quindi ho ragione di ritenere che le IVG vengano fatte tutta la settimana.
Non ne ho però assoluta certezza perché come ti ho detto ha fatto tutto il mio medico.
Non credo di aver avuto un trattamento di favore perché gli infermieri hanno saputo che ero una paziente di quel dottore solamente dopo il raschiamento.
Non so se ha accellerato le pratiche per il ricovero, ma essendoci una sola singola in tutto il reparto (è molto piccolo) non credo che abbiano spostato qualcuno per trovarmi posto.
Nel caso non ne sono a conoscenza.
Se può esserti utile ti lascio il numero del centralino dell'ospedale.
Scusami, non mi sento proprio di chiamare, per me la ferita è ancora aperta
Bologna - Ospedale MAGGIORE
L.go Nigrisoli, 2 ............................................ 051 647 8111
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Ti ringrazione per i consigli.
Sto facendo psicoterapia, mi sono iscritta in palestra.
Grazie per il tuo lavoro.
Un caro saluto"

COME UN OSPEDALE PUO' STRAVOLGERE LO SPIRITO DELLA 194

Gentile professore,
vorrei riprendere con Lei un discorso interrotto sulla necessità della rianimazione forzata sui feti sopravvissuti ad un aborto, senza il consenso dei genitori.
Lei davvero crede che sia opportuno farla sempre e comunque, quale che sia stato il motivo che abbia indotto i genitori a prendere la dolorosa decisione di impedire la vita al proprio desiderato figlio?
Colgo l’occasione per parlarLe di un disgustoso inganno perpretato ai danni di un’altra donna ricoveratasi lo stesso giorno in cui venni ricoverata anch’io presso il centro da Lei diretto, per un aborto “terapeutico”.
Questa giovane donna che io avevo avuto modo di conoscere già durante i due giorni precedenti al nostro ricovero, durante gli accertamenti di rito, aveva preso la decisione di abortire un figlio allo stato embrionale affetto da una patologia che gli aveva impedito la formazione delle ossa della faccia. Il suo ginecologo le aveva detto che tale patologia era incompatibile con la vita e che oltretutto portando avanti la gravidanza il bambino avrebbe sofferto quando il liquido amniotico sarebbe entrato nel viso distruggendone i tessuti. Le risulta quest’ultima informazione?
Quando come ultima tappa ci recammo dallo psichiatra lei poi mi disse di non aver avuto bisogno della perizia psichiatrica per abortire in quanto la patologia del bambino che portava in grembo era incompatibile con la vita. Ed allora che l’avevano mandata a fare dallo psichiatra? Per ricevere una preparazione psicologica all’aborto, quale non fu giudicato opportuno fornire anche a me nonostante il mio, su di un feto, fosse più traumatico?
Riassumendo quindi Cristina, la giovane donna di Montecorvino vicino Battipaglia (Sa) prima di tutto non sapeva che la perizia psichiatrica per lei non si era resa necessaria semplicemente perché il suo era un intervento richiesto su di un embrione e non perché si stimasse che questo una volta partorito a termine non avesse possibilità di vita autonoma. Questa donna non aveva capito che il suo non era un aborto terapeutico ed in ogni caso non aveva compreso che la “terapia” di questo tipo di interruzioni volontarie di gravidanza, non è volta a preservare il bambino da eventuali sofferenze in utero o fuori da esso. E in ospedale certo sia Voi del quinto piano che gli altri medici di tutto l’edificio, Vi siete guardati bene dal farglielo capire.
Ora il problema è che neanche quello che le aveva detto il suo ginecologo circa l’incompatibilità della patologia del figlio con la vita, corrisponde a verità. Certo, probabilmente varia da caso a caso, ma negli States circa sei anni fa è nata, ed è tutt’ora viva e…più o meno vegeta, una bambina con questa stessa patologia. Alla piccola Julianna Wetmore manca infatti il 30/40% delle ossa del volto; infatti è stata denominata “la bambina senza faccia”. Ha la bocca ma mancandole la mascella superiore non le serve ne per parlare ne per mangiare. Ha il naso o una specie, ma non le serve per avvertire gli odori. Ha degli abbozzi di orecchie e pertanto anche l’udito è compromesso. Vede, ma come vedrà dal momento che non avendo gli alloggiamenti degli alveoli per gli occhi essi sono posizionati un po’ obliqui in quello che dovrebbe essere un viso? Per il resto comunque Julianna, nutrita attraverso un buco alla gola tramite una sonda, è una bambina di intelligenza normale, cammina, gioca, va al mare ed a scuola e quest’anno è stata anche iscritta a danza. Certo il suo viso ha un aspetto mostruoso, ma ha 2 genitori ed una sorella di poco più grande che praticamente vivono per lei. Io non avrei mai avuto il coraggio di partorire una creatura così che all’età di 2 anni aveva già subito una quindicina dei 30 interventi affrontati finora, ma evidentemente a sua madre le sofferenze causate a sua figlia per le conseguenze del proprio egoismo (i genitori sono molto cattolici) non la fanno impazzire di dolore così come credo sarebbe stato per me se avessi deciso di mettere al Mondo una bambina che mai sarebbe cresciuta emotivamente, col rischio che avrebbe avuto di sopravvivermi in questo Mondo dove la vita è difficile per chiunque. Perciò mi chiedo: se Cristina, ugualmente molto cattolica (e contrarissima all’aborto volontario di per se) fosse venuta a conoscenza della storia di Julianna, affetta dalla stessa patologia di suo figlio, avrebbe comunque deciso di abortirlo? Cristina era anche alla sua prima gravidanza e perciò più motivata ad avere un figlio quale che fosse.
Ragionando per assurdo, perché la patologia di cui sopra è diagnosticabile dalle prime ecografie quando è ancora possibile avere un aborto su di un embrione, se tale aborto fosse stato fatto su di un feto e questo feto fosse sopravvissuto, Avrebbe considerato ugualmente legittimo praticargli la rianimazione forzata senza il consenso della madre (qualora fosse stata consciente delle reali possibilità di sopravvivenza del figlio partorito a termine)?
Non le sembra piuttosto che in entrambi i casi: il mio di rianimazione forzata senza il mio consenso su di un prodotto abortivo affetto dalla sindrome di down, e quello dell’inganno di cui è stata vittima Cristina così cattolica che altrimenti non avrebbe mai acconsentito ad abortire suo figlio destinato comunque a tante sofferenze, non Le pare che possano essere 2 casi speculari in cui è stato travisato del tutto lo spirito della 194 sull’aborto terapeutico? A chi è diretta in questi casi la “terapia”, a me che come madre ho più diritti rispetto al mio feto o embrione, o al bambino sulla cui sorte vogliono decidere gli altri, secondo le personali convinzioni, ginecologi o neonatologi che siano?
Mentre Le scrivo, mi è appena arrivata notificata nella posta elettronica, una mail inviatami da un utente di Facebook con il quale ieri sera ho avuto un’accesa discussione sull’aborto terapeutico. Lui ne è fortemente contrario, ed ecco perché; ho fatto per Lei il copia e incolla:

Ti racconto la mia esperienza: a mia figlia che oggi ha dodici anni furono diagnosticate diverse malformazioni per le quali fu consigliato a mia moglie la scelta dell' aborto ( mi avevano detto che non sarebbe sopravvissuta al parto ). Insieme abbiamo deciso di non farlo. Il percorso è stato difficile e continuerà ad esserlo: non le ho voluto negare il diritto di provare a vivere: oggi è felice e lo siamo anche io e mia moglie.

Una cosa gravissima nella vicenda di questo signore, come anche in quella di Cristina, è che Voi medici ben di rado spiegate per bene alle vostre pazienti come funziona la 194 per gli aborti dopo il 90° giorno, a meno che non abbiano già deciso di interrompere la loro gravidanza. Al signore di cui alla mail ho dovuto spiegare bene io, come funzioni la legge in questi casi e perché; anche lui credeva che l’aborto su di un feto non sano fosse “terapeutico” per evitargli di soffrire e giustamente si chiedeva da dove venissero i parametri per giudicare quale potesse essere la soglia di sofferenza da cui per legge fosse considerato giusto impedire la vita ad un essere umano. Questi parametri appartengono solo a noi donne; ognuna in rapporto al proprio figlio, alla propria storia. E nessuno dovrebbe mettere bocca nelle nostre decisioni, tanto poi la croce siamo sempre e solo noi a portarla.
Infine: Lei si lamentava del fatto che non ci siano più le femministe di una volta. Certo, rispetto agli anni ’70 qualcuna sarà morta; qualcun'altra starà aiutando la figlia a crescere i nipotini visto che dallo Stato aiuti per crescere i figli manco a parlarne, ma per il resto le femministe ci sono ancora e pure più toste di quelle di prima; chi manca all’appello sono prima di tutto una sinistra forte e soprattutto convinta di ciò che è, di quel che fa e perché lo fa, e poi, nella fattispecie della 194 a mancare sono i medici che ne hanno capito davvero lo spirito, il senso, per chi è stata creata e perché, e fra questi ginecologi che mancano all’appello metto anche Lei.

Ah dimenticavo, dal momento che nonostante l’ottimo lavoro svolto da 25 anni nel centro delle ivg, Lei non ha ancora capito cos’è l’aborto volontario, allora glielo spiego io: è una violenza: non solo sul prodotto del concepimento, ma prima di tutto sulla donna che sempre e comunque lo subisce, anche quando non ha fatto niente per evitarlo. Ad una donna vittima di una qualsiasi altra violenza viene offerta sempre un’assistenza psicologica; perché per una donna che abortisce questo non è previsto? Perché di lei si continua a pensare che se lo sia voluto, altrimenti sarebbe stata casta, sarebbe stata attenta, o più semplicemente sarebbe stata madre. Voi medici tenete in conto solo di salvaguardare la vita fisica delle donne, e quella psicologica? Non vale altrettanto?

GRAZIE AL PROVVEDIMENTO REGIONALE, IN PIEMONTE COSE COSI' NON ACCADONO PIU'

NOVARA 1998
"mi hanno lasciata sola in una camerata enorme, al buio, di notte, con la mia lucina e un crocifisso sulla parete di fronte...se chiamavo, nessuno arrivava..neanche un buscopan...pensavano fossi "una 194", invece io stavo in piena emorragia e perdevo quel che restava del mio piccolo al terzo mese...avevo l'intervento programmato per fare "pulizia", come dicevano " loro" , perché all'ultima eco la camera risultava ormai vuota...fino al giorno dopo non mi ha parlato nessuno. Poi mi hanno portata a fare un elettrocardiogramma e lì si sono accorti dell' "equivoco" e hanno provato a scusarsi..che bestie...dicendomi che pensavano fossi una 194...medici e infermieri, a minimizzare, a dire delle parole idiote, oscene...inutili"

mercoledì 3 giugno 2009

AIUTO PSICOLOGICO PRE E POST RICOVERO IN OSTETRICIA

Per chi si sottopone ad aborto terapeutico: prima del ricovero, al colloquio con lo psichiatra per riceverne la perizia, PRETENDERE (fatevi forti prima perchè dopo è più difficile) di essere spiegate a cosa si può andare incontro dal punto di vista psicologico, in seguito ad una interruzione di gravidanza, ed all'eventualità che il feto vi sopravviva, anche dal momento che per la legge italiana un feto abortito vivo si equivale ad un bambino nato a termine. Va quindi registrato all'anagrafe; per lui va scelto un nome, e successivamente in caso di decesso, va richiesto il certificato di morte. Altrimenti si può rendere adottabile il prodotto del concepimento firmando per questa opzione sulla propria (della madre) cartella clinica.

Per le donne che fanno richiesta per un una interruzione di gravidanza entro il novantesimo giorno, presso il proprio consultorio, chiedere un colloquio con la psicologa (sempre che non sia obiettrice...!) circa le conseguenze psicologiche cui si va incontro dopo una tale difficile decisione.

DOPO:
In un Paese civile e rispettoso nei confronti delle donne quale il Nostro non è, alla dimisione dal reparto di ostetricia, o lasciando il centro di Day hospital delle IVG, ogni donna dovrebbe ricevere quantomeno a voce un invito a recarsi presso il proprio consultorio di zona, o della zona dell'ospedale, per un colloquio psicologico qualora si presentassero sintomi di depressione, o particolare aggressività, senso di insoddisfazione etc. Nei casi in cui i sintomi dovessero essere più gravi: difficoltà seria a prendere sonno ed a mantenerlo,attacchi di panico etc.il medico che firma per la dimissione dovrebbe invitare in questo caso l'ex paziente a tornare nella struttura presso cui è stata ricoverata, per rivolgersi allo psichiatra preposto al reparto di ostetricia.

Poichè tutto ciò in Italia non è ancora attualizzabile, vi consiglio di provvedere da sole a rivolgervi alla psicologa del vostro consultorio di zona o allo psichiatra della struttura presso cui siete state ricoverate, a seconda dei sintomi riscontrati, consigliandovi comunque a prescindere, anche in maniera preventiva, almeno di scambiare quattro chiacchiere con la psicologa del consultorio, anche per vedere subito, con i medici dello stesso, se vi siano state delle adempienze durante la degenza e quello che si può fare per rimediarvi.